Tra carestia, guerra e peste, la spesa pubblica divenne insostenibile.
Venne chiesto l'intervento del governatore Spinola, ma costui, impegnato
nella guerra di successione al ducato di Mantova e del Monferrato (che
dopo tante morti si risolverà con il riconoscimento del successore
legittimo, Carlo Gonzaga), trasferì la propria
autorità al cancelliere Ferrer, lavandosene quindi di fatto le mani.
Intanto nel
Lazzaretto si arrivò ad avere fino a sedicimila ospiti, la mortalità
giornaliera superò quota tremila e la popolazione milanese si ridusse
di due terzi. Il numero di cadaveri continuò ad aumentare e non si
riuscì più a stare dietro alle sepolture. La fossa vicino al Lazzaretto
era inoltre ormai colma di morti. Ancora una volta venne chiesto l'aiuto
dei frati cappuccini e nel giro di quattro giorni, con la realizzazione
di altre tre fosse comuni, il problema venne risolto. Grazie alla
carità di alcuni privati le spese pubbliche più urgenti poterono essere
sotenute.
Il peggioramento della situazione contribuì a dare nuova forza alla
paura della popolazione nei confronti degli untori, fino a farla
divenire vera e propria pazzia. Dietro alle azioni degli untori iniziò
ad essere vista la mano del diavolo, la gente inziò a dubitare dei loro
stessi parenti, iniziarono a diffondersi storie deliranti e si arrivò
anche ad attribuire la causa della peste al passaggio di una cometa. Il
delirio iniziò a coinvolgere gli stessi medici che fin dal principio
aveva combattuto da soli contro la pubblica ignoranza. Lo stesso
cardinale Federigo Borromeo non escluse l'esistenza di untori e di
ungenti velenosi. I pochi che riuscirono fino all'ultimo a mantenersi
lucidi ed a ragionare, tanto da ritenere assurde le opinioni popolari,
non vollero però ovviamente esporsi per prudenza. I magistrati, confusi e
ridotti in numero ogni giorno di più, si dedicarono quasi solo alla
ricerca degli untori: numerosi furono i processi ed altrettanto numerose
le condanne di innocenti, accusati di aver propagato la peste.
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