Il narratore si accinge a rievocare i grandi eventi storici che coinvolgeranno i personaggi del
romanzo.
Dopo i tumulti di San Martino sembrò improvvisamente tornata
l'abbondanza a Milano, un' abbondanza che però non durò molto. Il pane venne prodotto in grosse quantità e
venduto sottocosto, la popolazione assediò così nuovamente i forni per fare scorta di pane e
farina e inziò ad arrivare in città anche gente dalla campagna per godere
dei benefici provvisori, accelerando così la nuova carestia e
peggiorando la situazione. Alcune leggi tentarono inutilmente di evitare
il consumo sfrenato, altre cercarono di limitare l'acquisto di pane da
parte dei abitanti della provincia, in ogni caso si vietò ai fornai di
interromperne la produzione e di rivederne il prezzo. Il 24 di Dicembre vennero infine impiccati i
presunti responsabili dei tumulti ed improvvisamente l'assurda tariffa
fissata per il pane cessò di valere. Il governo, sopraffatto dagli
eventi, li abbandonò infine, inerme, al loro corso.
Gli effetti della carestia erano oramai gravissimi: botteghe e fabbriche
erano deserte, le strade si riempirono di mendicanti di ogni sorta (ex
servitori, garzoni, bravi..), abitanti della città ma anche provenienti
dalla campagna. Le vie abbondavano di sporcizia ed inziavano ad esserci i
primi morti di stenti. Numerose furono le opere di carità da parte del cardinale Federigo Borromeo, ma purtroppo la richiesta era maggiore. Tanti ne morivano ogni
giorno, tanti di nuovi ne arrivavano subito dai paesi vicini; ma
esisteva anche un flusso contrario di gente che abbandonava la città
alla ricerca di maggiore fortuna altrove. Il forte contrasto tra
ricchezza e povertà, tipico del periodo storico, venne fortemente
smorzato; i ricchi si distinguevano solo per la loro mediocrità e
giravano per la città con abiti e modi dimessi.
Il tribunale della sanità avvertì del pericolo contagio e propose di
raccogliere gli accattoni in diversi ospizi. Le decisioni in merito
tardarono però ad arrivare e la situazione peggiorò di giorno in giorno.
Si decise infine, contro il parere della sanità, di raccogliere tutti
gli accattoni, sia sani che malati, in un solo luogo, il lazzaretto: una
costruzione a pianta quadrata di duecentottantotto stanze costruita nel
1498 come ricovero per gli ammalati di peste. Venne emesso un editto
per invitare tutti gli accattoni a recarsi al lazzaretto; molti ci
andarono di propria volontà, gli infermi ci vennero trasportati, tutti
gli altri furono costretti ad entrarci con la forza. Il numero finale
degli accattoni raccolti fu prossimo alle diecimila unità.
L'impossibilità a mantenere l'ordine a causa dell'enorme varietà di
gente presente, il sovraffollamento della struttura, la scarsa qualità
degli alimenti forniti e dell'acqua disponibile, il clima avverso ed
infine anche la situazione di per sè angosciosa, non fecero altro
aumentare ulteriormente la mortalità. La situazione divenne
insopportabile e fu quindi inevitabile l'annullamento del provvedimento:
la persone sane furono liberate e per la stragrande maggioranza degli
altri non ci fu nulla da fare. La città di Milano tornò a brulicare di
mendicanti ma almeno, arrivato il periodo del raccolto, si liberò della
gente venuta dalla campagna, che ci fece ritorno ai propri campi. Intanto però è
pronto il nuovo raccolto: i contadini tornano al loro lavoro, cessa la carestia e la mortalità diminuisce.
Ma si profila il
nuovo flagello della guerra. Gli intrighi diplomatici tra i grandi, dopo aver posto fine all’assedio di Casale, portano l’
esercito imperiale a percorrere il Milanese per recarsi all’assedio di Mantova. Le truppe di Lanzichenecchi, soldati di
mestiere che lo compongono, portano con sé la peste, ma le autorità sottovalutano questo pericolo. Rimosso per i cattivi
successi della guerra, don Ponzalo lascia Milano accompagnato dagli scherni del popolo che lo incolpa della fame sofferta sotto
il suo governo.
Come tutti gli eserciti del tempo, anche quello tedesco pratica il saccheggio dei paesi che incontra nel
proprio tragitto e la sua discesa attraverso la Valtellina e la Valsassina porta terrore e distruzione.
Cessò
così la carestia e la mortalità inziò a diminuire progressivamente, ma
arrivò però un altro flagello: la guerra.
Nel frattempo il cardinale di Richelieu, terminata la contesa per il
possesso della Roccella, convinto il consiglio francese ed ottenuto con
la forza il lascia passare dal duca di Savoia, aveva condotto un
esercito in Italia per sostenere Carlo Gonzaga nella guerra per la
successione al ducato di Mantova e del Monferrato. Don Gonzalo aveva
anche subito abbandonato l'assedio di casale per fare ritorno a Milano;
venne poco dopo rimosso dalla sua carica di governatore come punizione
per l'insuccesso ottenuto nella guerra intrapresa. Il grosso
dell'esercito francese fece poi subito ritorno in patria, ma mentre
questo se ne andava da una parte, dall'altra quello imperiale, ricevuto
da Carlo Gonzaga il rifiuto di lasciare i domini dei territori nelle
mani dell'imperatore, era già pronto a discendere lungo l'Adda dalla
valtellina per recarsi a Mantova. I soldati che lo componevano, i
Lanzichenecchi, erano portatori di peste, mercenari, difficili da tenere
all'ordine e tacitamente ricompensati del servizio con i frutti del
saccheggio. La loro discesa lungo il fiume Adda, passando anche dal
territorio di Lecco, fu carratterizzato da terrore e distruzione;
nessuno e niente riuscì a rimanere integro al loro passaggio.
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