lunedì 27 agosto 2012

Riassunto capitolo 34 Promessi sposi

Arrivato sotto le mura di Milano, Renzo entra nella città attraverso Porta Nuova, corrompendo con una moneta, la guardia che avrebbe dovuto vietare l'ingresso a chiunque non avesse mostrato un certificato di buona salute. Il giovane, arrivato poi  al Naviglio, va incontro ad un passante con la sola intenzione di chiedere le indicazioni necessarie a raggiungere l'abitazione di Don Ferrante; l'uomo però, credendo che il ragazzo è un untore (questa sarà la sua versione dei fatti per tutto il resto della sua vita), lo tiene lontano con il bastone, minacciando di usarlo contro di lui. Proseguendo il suo cammino, Renzo viene richiamato da una donna, affacciata con i suoi figli al terrazzo di una abitazione, che gli chiede di avvertire il commissario della loro condizione: essendo morto di peste suo marito, la loro porta di casa è stata chiodata, nessuno passa però a portarle da mangiare ed adesso rischia di morire di fame insieme ai figli. Renzo le dona i due pani acquistati a Monza (ed è una forma più nobile di restituzione di quelli trovati per strada il giorno del tumulto di San Martino) e promette di fare il possibile per aiutarla. In piazza San Marco il ragazzo vede una macchina della tortura ed assite poi al passaggio di un apparitore e dei monatti che guidano alcuni carri carichi di cadaveri. Procedendo oltre, Renzo incontra un prete che, pur mantenendo da lui ad una certa distanza e tenendo davanti a sé un bastone come difesa, gli indica finalmente il percorso da seguire per raggiungere la casa di Don Ferrante ed accetta anche di prendersi cura del caso della donna chiusa in casa. Il giovane riprende il cammino ed il senso di angoscia comincia a crescere in lui. Sta ormai per raggiungere la sua destinazione ed ha paura di quella che sarà la verità che dovrà affrontare. La desolazione, la tristezza e le scene di dolore e di morte che è costretto a vedere lungo il suo percorso non lo aiutano certo a trovare conforto e coraggio. La scena più toccante gliela offre una giovane donna, di rara bellezza, che porta la sua figlia morta, di nome Cecilia, sul carro dei monatti per poi fare ritorno a casa ed aspettare la morte insieme alla sua altra figlia.
Dopo aver incontrato un gruppo di malati che vengono condotti al Lazzaretto, Renzo raggiunge infine l'abitazione di donna Prassede e don Ferrante, ed una donna da dentro casa lo informa con fare brusco che Lucia si trova anch'essa al Lazzaretto. Il giovane rimane per un poco di tempo vicino alla porta, è chiaramente arrabbiato ed agitato, ed il suo strano comportamente lo fa credere un untore da una donna poco distante da lui. Al grido di lei , accorre un piccola folla ed il giovane è costretto a scappare per salvarsi. Le urla degli assalitori attirano altre persone e quando Renzo si accorge di avere la via bloccata in entrambe le direzioni, si fa coraggio e salta su un carro carico di cadaveri, condotti verso il luogo di sepoltura. Il protagonista viene accolto festosamente dai monatti, che lo ringraziano per la sua attività di untore e lo aiutano anche a mettere in fuga la folla, brindando infine alle numerosi morti. Giunto al corso di porta orientale, da lui percorsa più volte durante i giorni del tumulto, Renzo salta giù dal carro e si dirige verso il Lazzaretto. Dopo esser passato attravero una immensa folla di ammalati, raggiunge infine la porta d'ingresso di quel triste ospedale.

giovedì 2 agosto 2012

Riassunto capitolo 33 Promessi sposi

Verso la fine d’agosto, Don Rodrigo inizia ad avvertire uno strano malessere mentre sta tornando a casa da una festa. Arrivato a casa, viene accompagnato subito nella camera da letto dal Griso, uno dei pochi servitori rimasti ancora vivi, e dopo un lungo rigirarsi nel letto riesce finalmente ad addormentarsi. Il sonno non è però tranquillo infatti si sveglia di continuo e , ad un tratto, urlando, si guarda il fianco sinistro e scopre di avere un bubbone: è malato di peste. Terrorizzato non solo dalla morte ma anche dall'idea di essere condotto dai monatti al Lazzaretto, l'uomo chiama il Griso (che con un colpo d'occhio si accerta del presentimento avuto la sera prima) e gli ordina di andare a chiedere soccorso ad un chirurgo noto per tenere nascosti gli ammalati. Il bravo si prende carico della missione ma tradisce però il padrone, liberando la casa dagli altri servitori con falsi incarichi e andando a chiamare lui stesso i monatti, per dividere con loro il tesoro di Don Rodrigo. Mentro il tiranno viene portato al Lazzaretto, il Griso fruga tra gli averi del padrone ma spinto dalla cupidigia non esita anche a toccarne i vestiti infetti: morirà il giorno dopo.
Nel frattempo Renzo, iniziata la guerra tra la repubblica Veneta e la Spagna, e cessato quindi ogni timore di ricerche, era tornato nel paese di Bortolo. Giunta la peste anche nel bergamasco, Renzo si era anche lui ammalato ma era infine riuscito a guarire.
Ritornato ora in salute, il giovane decide di tornare al suo paese per accertarsi della condizione di Agnese, e di raggiungere poi Milano, dove sa che si trova Lucia, per convincere la ragazza ad abbandonare il voto ma non la riesce a trovare. Per strada incontra Don Abbondio, anche lui guarito dalla peste, che lo informa del fatto che Agnese si trova a Pasturo in Valsassina da suoi parenti, che Lucia si trova ancora a Milano, che anche Don Rodrigo si trova a Milano, che Perpetua è morta e che padre Cristoforo non ha fatto ancora ritorno. Sapute le intenzioni del giovane, il religioso tenta inutilmente di convincerlo a fare ritorno nel territorio di Bergamo, per evitare che vada a cacciarsi nei guai e soprattutto, con il solito egoismo, per evitare che ne crei a lui stesso. Renzo fa poi visita alla sua vigna ed alla sua abitazione e trova solo degrado e distruzione. Si reca infine alla casa di un suo vecchio amico, da quale riceve ospitalità. Durante la cena, mentre i due si scambiano informazioni, il giovane viene a conoscenza del casato di Don Ferrante e viene anche a sapere che il podestà e buona parte degli sbirri sono morti: si convince così di andare direttamente a Milano, senza nessun timore della giustizia.
Il giorno dopo Renzo riprende il suo viaggio. Prima di arrivare a Milano si ferma in una bottega di Monza ed acquista due pani da tenere in tasca in caso di necessità.

Riassunto capitolo 32 Promessi sposi

Tra carestia, guerra e peste, la spesa pubblica divenne insostenibile. Venne chiesto l'intervento del governatore Spinola, ma costui, impegnato nella guerra di successione al ducato di Mantova e del Monferrato (che dopo tante morti si risolverà con il riconoscimento del successore legittimo, Carlo Gonzaga),  trasferì la propria autorità al cancelliere Ferrer, lavandosene quindi di fatto le mani. Intanto nel
  Lazzaretto si arrivò ad avere fino a sedicimila ospiti, la mortalità giornaliera superò quota tremila e la popolazione milanese si ridusse di due terzi. Il numero di cadaveri continuò ad aumentare e non si riuscì più a stare dietro alle sepolture. La fossa vicino al Lazzaretto era inoltre ormai colma di morti. Ancora una volta venne chiesto l'aiuto dei frati cappuccini e nel giro di quattro giorni, con la realizzazione di altre tre fosse comuni, il problema venne risolto. Grazie alla carità di alcuni privati le spese pubbliche più urgenti poterono essere sotenute.
Il peggioramento della situazione contribuì a dare nuova forza alla paura della popolazione nei confronti degli untori, fino a farla divenire vera e propria pazzia. Dietro alle azioni degli untori iniziò ad essere vista la mano del diavolo, la gente inziò a dubitare dei loro stessi parenti, iniziarono a diffondersi storie deliranti e si arrivò anche ad attribuire la causa della peste al passaggio di una cometa. Il delirio iniziò a coinvolgere gli stessi medici che fin dal principio aveva combattuto da soli contro la pubblica ignoranza. Lo stesso cardinale Federigo Borromeo non escluse l'esistenza di untori e di ungenti velenosi. I pochi che riuscirono fino all'ultimo a mantenersi lucidi ed a ragionare, tanto da ritenere assurde le opinioni popolari, non vollero però ovviamente esporsi per prudenza. I magistrati, confusi e ridotti in numero ogni giorno di più, si dedicarono quasi solo alla ricerca degli untori: numerosi furono i processi ed altrettanto numerose le condanne di innocenti, accusati di aver propagato la peste.

mercoledì 1 agosto 2012

Riassunto capitolo 31 Promessi sposi


In questo capitolo si mette in evidenzia il comportamento di una popolazione spaventata a causa della carestia e dell' aumentare della mortalità a causa della peste. Sul finire del mese di Marzo le morti iniziarono a diventare frequenti e fu difficile nascondere la verità. Per non dover ammettere la propria ignoranza ed i propri errori, non si parlò però ancora di peste ma di febbre pestilenziale. I magistrati iniziarono comunque a dare maggior ascolto alle richieste della sanità. Anche tra il popolo iniziò a vacillare il voler negare a tutti i costi l'esistenza della peste, ma la reale causa del contagio non venne comunque accettata: per la gente l'origine del male erano veleni contagiosi, operazioni diaboliche e malefici. Nonostante le continue morti, non tutti erano ancora persuasi che si trattasse effettivamente di peste. Per togliere ogni dubbio, per convincere il popolo, spaventarlo e farsi dare ascolto, il tribunale della sanità approfittò di una festa religiosa per trasportare in mezzo alla folla, in bella mostra, i corpi di un'intera famiglia appena morta, con segni evidenti della malattia. Si trattava finalmente per tutti di peste si capì che l' origine delle morti provenivano proprio da questa malattia.

Riassunto capitolo 30 Promessi sposi

Riprendendo il viaggio verso il castello dell'Innominato, Agnese, Perpetua e Don Abbondio incontrano subito altre persone che si dirigono a piedi verso la loro stessa destinazione. Mentre le donne se ne compiacciono, pensando di aver scelto un posto sicuro, il religioso si mostra al solito impaurito, temendo che il castello possa facilmente attirare l'attenzione dei Lanzichenecchi. Arrivati alla taverna della malanotte, i tre personaggi scendono dal baroccio per proseguire a piedi. L'Innominato riconosce Don Abbondio e viene loro incontro. Saputo che una delle due donne è la madre di Lucia, l'uomo la accoglie calorosamente e si propone quindi di accompagnarli per il resto della salita. Una volta giunti al castello, Agnese e Perpetua vengono condotte in una stanza del quartiere assegnato alle donne, don Abbondio in una delle camere riservate agli ecclesiastici nel quartiere degli uomini.
I giorni passano senza che accada nulla di straordinario. Gli allarmi sono frequeti ma sempre infondati. All'interno del palazzo, per evitare possibili disordini, quasi invevitabili tra gruppi di persone totalmente diverse tra loro, vengono incaricati gli uomini più autoritari per vigilare sulla situazione. Per ripagare in parte l'ospitalità, Agnese e Perpetua si fanno assegnare dei lavori, ai quali dedicarsi per la maggior parte della giornata. Don Abbondio passa invece le giornate senza fare niente, in compagnia delle sue paure.
Giungono ogni giorno al castello notizie dei saccheggi e dei movimenti compiuti da ogni squadrone dell'esercito. Quando arriva la notizia che  l'ultima ondadata di armati se ne è andata e che quindi anche i cappelletti avevano smesso di presidiare il confine bergamasco, tutti gli ospiti dell'Innominato riprendono le proprie cose e fanno ritorno alle proprie case. Agnese, Perpetua e Don Abbondio sono gli ultimi ad andarsene: il curato teme di poter incontrare in giro ancora qualche Lanzichenecco rimasto indietro. Il giorno della partenza dei tre ospiti, l'Innominato fa trovare loro pronta una carrozza alla taverna della Malanotte e dona ad Agnese un corredo di biancheria ed un'altra somma di denaro. Durante il viaggio di ritorno al paesello, i tre personaggi fanno un'altra tappa alla casa del sarto. Il suo paese non è stato bersaglio della devastazione portata da Lanzichenecchi e l'uomo racconta le notizie ricevute dai quelli circostanti.La loro invece è stata saccheggiata e anche il tesoro che Perpetua aveva nascosto in giardino è stato rubato. Don Abbondio per questo l’accusa di non aver pestato bene la terra dopo averlo sotterrato e Perpetua allora si arrabbia e gli fa notare che lui, oltre a non essere stato d’aiuto in nessun modo era stato anzi d’impiccio. La gente ha rubato anche tovaglie pregiate e altre cose di Don Abbondio, e questi, che ha paura di tutto e di tutti, non si sogna nemmeno di andare a riprendersele, e per questo Perpetua gli da’ del vigliacco. Manzoni, poi descrive la situazione drammatica: peste, morte, carestia, la disperazione di questa gente. In questo periodo, per diversi motivi, non si hanno le cure adeguate per la peste.  Il governo tenta di tacitare la malattia della peste e i suoi effetti, ma purtoppo avanza sempre più provocando continue morti, tra cui Don Ferrante, il marito di Donna Prassede.

Riassunto capitolo 29 Promessi sposi

Don Abbondio, ricevuta notizia dell'arrivo delll' armata e delle conseguenze del loro passaggio, è spaventatissimo. Il religioso è risoluto a scappare prima di tutti, ma non sa dove. Totalmente sopraffatto dal panico, l'uomo segue per casa Perpetua cercando consiglio, ma la donna, preoccupata anch'essa, è troppo impegnata a mettere in salvo gli averi, nascondendoli per la casa o per l'orto, e quindi lo evita; si affaccia anche alla finestra per chiedere piagnucolando aiuto alla gente in fuga, ma tutti sono concentrati sui propri problemi personali e nessun gli presta attenzione.
Agnese nel frattempo, decisa anch'essa a lasciare subito il paese, ma non di seguire l'altra gente, temendo che il denaro che ancora le rimaneva dalla donazione dell'Innominato potessero darle problemi, decide di trovare rifugio nel castello dell' Innominato, e per fare ciò è intenzionata a prendere Don Abbondio come guida. La donna si reca alla casa del curato, la sua proposta viene subito accettata da Perpetua, ed i tre, nonostante i dubbi del religioso, si mettono subito in viaggio. L'ultimo saluto di don Abbondio alla sua chiesa esprime tutto il suo egoismo "al popolo tocca a custodirla, che serve a loro". Giunti nel paese del sarto, i tre personaggi si fermano a pranzare nella casa dell'uomo che tenta di rassicurarli. Dopo pranzo, il sarto fa chiamare infine una baroccio ed i tre riprendono il loro viaggio verso il castello.
Dal giorno dell'incontro con il cardinale Federigo Borromeo, la vita dell'Innominato ha effettivamente subito un cambiamento netto e l'uomo ha iniziato ad occuparsi solo di opere di bene. L'uomo ha mantenuto tutta la sua sicurezza ed il suo orgoglio, ed alle altre persone, adesso che gira per le strade senza armi, dà ancora più l'idea di non curarsi di alcun pericolo. Ha per questo il rispetto, la venerazione e l'ammirazione di tutti.
 Proprio per questo l'Innominato, ricevute le prime richieste di protezione e provando gioia nel vedere che il suo castello veniva scelto per quello scopo da coloro che prima lo temevano, fa spargere la voce della sua disponibilità ad accogliere gente. Nel castello vengono così preparati letti e immagazzinate vivande per ospitare il maggior numero possibile di persone. I suoi servitori vengono ora armati con il solo scopo di difendere gli ospiti contro possibili attacchi portati da Lanzichenecchi o cappelletti.

Riassunto capitolo 28 Promessi sposi

Il narratore si accinge a rievocare i grandi eventi storici che coinvolgeranno i personaggi del romanzo.
Dopo i tumulti di San Martino sembrò improvvisamente tornata l'abbondanza a Milano, un' abbondanza che però non durò molto. Il pane venne prodotto in grosse quantità e venduto sottocosto, la popolazione  assediò così nuovamente i forni per fare scorta di pane e farina e inziò ad arrivare in città anche gente dalla campagna per godere dei benefici provvisori, accelerando così la nuova carestia e peggiorando la situazione. Alcune leggi tentarono inutilmente di evitare il consumo sfrenato, altre cercarono di limitare l'acquisto di pane da parte dei abitanti della provincia, in ogni caso si vietò ai fornai di interromperne la produzione e di rivederne il prezzo. Il 24 di Dicembre vennero infine impiccati i presunti responsabili dei tumulti ed improvvisamente l'assurda tariffa fissata per il pane cessò di valere. Il governo, sopraffatto dagli eventi, li abbandonò infine, inerme, al loro corso.
Gli effetti della carestia erano oramai gravissimi: botteghe e fabbriche erano deserte, le strade si riempirono di mendicanti di ogni sorta (ex servitori, garzoni, bravi..), abitanti della città ma anche provenienti dalla campagna. Le vie abbondavano di sporcizia ed inziavano ad esserci i primi morti di stenti. Numerose furono le opere di carità da parte del  cardinale Federigo Borromeo, ma purtroppo la richiesta era maggiore. Tanti ne morivano ogni giorno, tanti di nuovi ne arrivavano subito dai paesi vicini; ma esisteva anche un flusso contrario di gente che abbandonava la città alla ricerca di maggiore fortuna altrove. Il forte contrasto tra ricchezza e povertà, tipico del periodo storico, venne fortemente smorzato; i ricchi si distinguevano solo per la loro mediocrità e giravano per la città con abiti e modi dimessi.
Il tribunale della sanità avvertì del pericolo contagio e propose di raccogliere gli accattoni in diversi ospizi. Le decisioni in merito tardarono però ad arrivare e la situazione peggiorò di giorno in giorno. Si decise infine, contro il parere della sanità, di raccogliere tutti gli accattoni, sia sani che malati, in un solo luogo, il lazzaretto: una costruzione a pianta quadrata di duecentottantotto stanze costruita nel 1498 come ricovero per gli ammalati di peste. Venne emesso un editto per invitare tutti gli accattoni a recarsi al lazzaretto; molti ci andarono di propria volontà, gli infermi ci vennero trasportati, tutti gli altri furono costretti ad entrarci con la forza. Il numero finale degli accattoni raccolti fu prossimo alle diecimila unità. L'impossibilità a mantenere l'ordine a causa dell'enorme varietà di gente presente, il sovraffollamento della struttura, la scarsa qualità degli alimenti forniti e dell'acqua disponibile, il clima avverso ed infine anche la situazione di per sè angosciosa, non fecero altro aumentare ulteriormente la mortalità. La situazione divenne insopportabile e fu quindi inevitabile l'annullamento del provvedimento: la persone sane furono liberate e per la stragrande maggioranza degli altri non ci fu nulla da fare. La città di Milano tornò a brulicare di mendicanti ma almeno, arrivato il periodo del raccolto, si liberò della gente venuta dalla campagna, che ci fece ritorno ai propri campi. Intanto però è pronto il nuovo raccolto: i contadini tornano al loro lavoro, cessa la carestia e la mortalità diminuisce. Ma si profila il nuovo flagello della guerra. Gli intrighi diplomatici tra i grandi, dopo aver posto fine all’assedio di Casale, portano l’ esercito imperiale a percorrere il Milanese per recarsi all’assedio di Mantova. Le truppe di Lanzichenecchi, soldati di mestiere che lo compongono, portano con sé la peste, ma le autorità sottovalutano questo pericolo. Rimosso per i cattivi successi della guerra, don Ponzalo lascia Milano accompagnato dagli scherni del popolo che lo incolpa della fame sofferta sotto il suo governo. Come tutti gli eserciti del tempo, anche quello tedesco pratica il saccheggio dei paesi che incontra nel proprio tragitto e la sua discesa attraverso la Valtellina e la Valsassina porta terrore e distruzione. Cessò così la carestia e la mortalità inziò a diminuire progressivamente, ma arrivò però un altro flagello: la guerra.
Nel frattempo il cardinale di Richelieu, terminata la contesa per il possesso della Roccella, convinto il consiglio francese ed ottenuto con la forza il lascia passare dal duca di Savoia, aveva condotto un esercito in Italia per sostenere Carlo Gonzaga nella guerra per la successione al ducato di Mantova e del Monferrato. Don Gonzalo aveva anche subito abbandonato l'assedio di casale per fare ritorno a Milano; venne poco dopo rimosso dalla sua carica di governatore come punizione per l'insuccesso ottenuto nella guerra intrapresa. Il grosso dell'esercito francese fece poi subito ritorno in patria, ma mentre questo se ne andava da una parte, dall'altra quello imperiale, ricevuto da Carlo Gonzaga il rifiuto di lasciare i domini dei territori nelle mani dell'imperatore, era già pronto a discendere lungo l'Adda dalla valtellina per recarsi a Mantova. I soldati che lo componevano, i Lanzichenecchi, erano portatori di peste, mercenari, difficili da tenere all'ordine e tacitamente ricompensati del servizio con i frutti del saccheggio. La loro discesa lungo il fiume Adda, passando anche dal territorio di Lecco, fu carratterizzato da terrore e distruzione; nessuno e niente riuscì a rimanere integro al loro passaggio. 

Riassunto capitolo 27 Promessi sposi

  •  Il capitolo 27 si apre con la narrazione dell' autore che si appresta a fornire informazioni sulla guerra per la successione al ducato di Mantova e del Monferrato. Narra che morto Vincenzo Gonzaga, gli succede Carlo Gonzaga, dal ramo francese di Nevers, ma la Spagna gli contrappone, per Mantova, Ferrante Gonzaga, principe di Guastalia, e per il Monferrato Carlo Emanuele I° di Savoia. Don Ponzalo, governatore di Milano, vuol fare una guerra in Italia per desiderio di gloria personale e si allea con il duca di Savoia, per dividere con lui il Monferrato. Porta pertanto l’assedio a Casale, ma l’operazione si rivela lunga e infruttuosa. La sua protesta presso la Repubblica veneta a proposito della fuga di Renzo si rivela dovuta a contingenti motivi politici. Nel frattempo Renzo vuol far avere sue notizie alle due donne, ma, non sapendo scrivere, deve ricorrere a chi lo sa fare e renderlo partecipe dei suoi segreti. Si avvia così un rapporto epistolare, né rapido, né regolare con Agnese ma l’operazione di comunicare attraverso la mediazione di scrittori di professione e lettori letterati si rivela infatti assai complessa. Il giovane in ogni modo riceve da Agnese i cinquanta scudi dono dell’ Innominato, indecifrabili notizie attorno al voto di Lucia e il consiglio di mettersi il cuore in pace. Ma egli rifiuta decisamente il suggerimento e dichiara di tenere il denaro come dote di Lucia. Costei, quando viene a sapere che Renzo è sano e salvo, prova un gran sollievo e desidera solo che egli “pensi a dimenticarla”, proponendosi di fare altrettanto. A complicare le cose interviene donna Prassede, che cerca ogni occasione per parlare di Renzo come di un delinquente, pensando così di farlo dimenticare a Lucia. La giovane si sente continuamente costretta a difendere il suo promesso e si trova dunque in un gran turbamento. Per fortuna Lucia non è l’unica persona che donna Prassede si propone di guidare. Dispone infatti di numerose figlie e di un marito, don Ferrante, uomo di studio cui non piace né comandare, né ubbidire: lascia dunque alla moglie il governo della casa, ma è geloso della propria indipendenza. Il suo regno è la biblioteca, dove ha raccolto più di 300 volumi. Addottrinato nella storia e nella politica, merita e gode del titolo di professore nella scienza cavalleresca, tanto da essere interpellato spesso in affari d’onore.Intanto trascorre un anno in cuio non si registra nessun cambiamento, ma solo continui turbamenti e angosce mescolate a speranze.